La premiata pasticceria Florio |
La premiata pasticeria Floriodi Domenico e Antonella FlorioC’era una volta… potrebbe cominciare così, come una bella favola, la strana e, troppo spesso, trascurata storia della «PREMIATA PASTICCERIA FLORIO». Siamo nell’immediato dopoguerra, negli anni 1919-20, e Saponara, come tutta l’Italia, risente della crisi del conflitto mondiale: disoccupazione, crisi economica e crisi dell’agricoltura, poiché le campagne rimaste prive della manodopera maschile, avevano fatto registrare un grave calo della produzione agricola. Francesco Paolo FLORIO, «Cicc’ Paul» per gli amici e conoscenti, uomo tutto d’un pezzo dal carattere forte e deciso, ma di bontà infinita, nato a Saponara di Grumento il 14 settembre 1878 (morto il 29 ottobre 1939) da Antonio e Angela Manduca, decide di impiantare una pasticceria. Dal padre Antonio (nato il 6 settembre 1850 - morto il 15 gennaio 1929), muratore, apprende la difficile arte del contatto continuo con la gente, del vivere quotidiano, con le sue complicanze e i suoi problemi, aspetto questo che lo segnerà per tutta la vita. Come sia nata a quest’uomo l’idea di una pasticceria resta un problema irrisolto: comunque, una delle ipotesi secondo la tradizione orale è la seguente. Francesco Paolo voleva dare ai suoi figli un avvenire sicuro ed una professione, in rapporto ai tempi, cosidetta «civile e dignitosa». Fu muratore fino al 1908 e poi commerciante di piatti e vasellame vario, infatti si ricordano due negozi in Piazza Arciprete Caputi, allocati nella odierna abitazione della famiglia Vertunni-Di Lorenzo. Ritornando alla pasticceria, egli si adopera e si industria alla ricerca di un locale e lo trova in piazza Arciprete Caputi, prendendolo in fitto dal sig. Tucci originario di Viggiano; trovato il negozio bisognava costruire il laboratorio. Un muratore dell’epoca, Giuseppe SCALDAFERRI (Mast’ Sepp’» com’era chiamato) sotto l’attenta guida di Francesco Paolo, provvide ad edificarlo presso l’abitazione dove vive ancora oggi, confortata dall’affetto delle amiche e dal prediletto nipote Tonino (medico) che la chiama spessissimo dal Brasile dove svolge la professione, l’unica figlia ancora vivente, Gilda. Per Gilda, svago ed unico diletto amatissimo, è quello di parlare ed elogiare l’arte della famosa «Pasticceria Florio». Con un felice connubio tra storia e leggenda narra le lunghe notti trascorse al forne, insieme alle sorelle Ernesta ed Elvira, a preparare recipienti, a lavare contenitori, ad alimentare il forno, e quando la stanchezza le assaliva, le gambe diventavano pesanti, gli occhi si chiudevano, non trovava di meglio che sedersi su una seggiola e farsi un sonnellino - nu’ scampuliedd’, come ama dire - per poi riprendere nuovamente il lavoro interrotto. Il padre, convinto di continuare la tradizione familiare, depone tutte le sue speranze nel figlio Antonio (Totonno) nato a Saponara il 24 settembre 1899 che, dopo gli studi elementari, continua da autodidatta, leggendo ed apprendendo molto; si conservano, ancora, i suoi libri di grammatica italiana e di latino. Ancora ragazzo apprese l’arte prima a Palermo e poi a Napoli, presso la famosa pasticceria F.lli Cappucci in via Toledo. La Cappucci era di fronte alla pasticceria Scaturchio al n° 429 di Piazza S. Domenico Maggiore ed è la migliore di Napoli. La pasticceria F.lli Cappucci, invece, non esiste più, al suo posto vi è un negozio di abbigliamento, l’«Extra» al n° 13. A Napoli, il giovanotto grumentino, restò circa due anni, ad imparare i primi rudimenti di quello che diventerà il suo lavoro, studiando infinite combinazioni che la fantasia gli suggeriva per le caratteristiche paste piccole che i francesi chiamano «friandises», leccornie o ghiottonerie. Lo scoppio della Prima Guerra mondiale lo allontanò da casa perché chiamato alle armi. La pasticceria in quegli anni era ancora in una fase progettuale: era stato trovato il locale, era stato costruito il laboratorio, ma la lavorazione dei dolciumi risentiva di influssi tipicamente caserecci. Dunque la prima cosa da fare era imparare l’«arte» e la scelta, naturalmente, cadde sul primogenito, come già accennato. Totonno servì la patria con coraggio e spirito patriottico, sprezzante dei pericoli e dei disagi, sebbene ancora in età adolescenziale, ma per i tempi e per lo Stato in età matura. Tornato a Saponara, verso il 1919, dopo alcuni anni si dedicò, insieme al fratello Vincenzo, alla fase esecutiva della pasticceria, ancora allocata in piazza Arciprete Caputi. Gli affari andavano bene, l’arte pasticciera in Val d’Agri era agli albori ed era esclusiva della famiglia Florio. Totonno, per questa ragione, avvertì l’esigenza di allargare il giro d’affari, aprendo succursali a Moliterno, in via Petrocelli della Gattina (adiacente il negozio di Alfonso Nicotera, detto «Alfonsino»), ed a Viggiano, in via Roma, presso il caffè Punaro (oggi sede del circolo E.B.E.). A Moliterno, la succursale, trovò ospitalità presso il negozio di confetteria, già esistente, della sig.ra Rosa Santomassimo, vedova Germino, nata a Viggiano il 5 giugno 1866 e morta a Moliterno l’8 febbraio 1943. Curiosità storica: il negozio e la succursale di Moliterno diedero il nome alla curva che va dal bar «Alba» al negozio della vedova Nicotera; i moliternesi, infatti, usavano ed usano chiamare quel tratto di strada «a curv’ ra zuccarar’», proprio in virtù della presenza del negozio e succursale di dolciumi e confetti. La sig.ra Santomassimo, da allora fu sempre identificata come «Rusin’ a Zuccarar’», tant’è vero che molte persone anziane di Moliterno non ricordano più il suo nome tranne se non citarla che con il suo soprannome. Il negozio, dopo una chiusura durata vari anni, venne riaperto dal maresciallo Coppola e dalla moglie Clarina Aiello Caputi (figlia del Cav. Clemente Aiello Caputi di Grumento) che cambiarono genere: dai dolci e confetti, passarono a vendere alimentari e diversi. Totonno, oramai, era diventato un esperto pasticciere: con una sola mano riusciva a rompere un uovo facendo scivolare l’albume e il tuorlo senza infrangere il guscio. Vincenzo, il fratello minore, per il momento apprendeva, scopriva i segreti dell’arte e si dedicava di più ai lavoretti di ordinaria amministrazione che ad altro. Uno dei tanti problemi che ponevano le succursali era il trasporto della merce, poiché, si comprende bene, i mezzi di comunicazione erano pochi o addirittura inesistenti. Antonio, allora, era costretto quasi ogni giorno a sobbarcarsi la strada da Saponara a Viggiano a piedi, facendo il giorno successivo, sempre a piedi, il percorso tra Saponara e Moliterno (parliamo sicuramente del periodo antecedente il 1925), insieme a due sorelle, Giuseppina e Angelina Latronico - dette comunemente «Sepp’» e «Angiulin’» - che portavano sulla testa le famose casse con i dolci, i cannoli alla siciliana ed i torroni in astuccio. Ogni tanto, Totonno si recava a Palermo per perfezionare l’arte già appresa e consolidata a Napoli. Non solo: era alla ricerca continua di novità e di nuovi prodotti da immettere sul mercato. La pasticceria volava sulle ali della fama, tanto da essere premiata dall’Accademia Fisico Chimica Italiana di Palermo. Di questo periodo sono le civilissime ed elegantissime confezioni per torrone e confetti, che, riteniamo, essere veri e propri pezzi di antiquariato, non fosse altro che per la delicatezza delle immagini e dei caratteri, confezioni da noi trovate in maniera del tutto casuale. Antonio non pensava esclusivamente al lavoro, che pure lo impegnava costantemente, la clientela aumentava giorno dopo giorno e le richieste diventavano sempre più pressanti, mentre Vincenzo diventava sempre più organico all’azienda. Per un certo periodo, Totonno si dedicò alla comunità saponarese, assumendo l’incarico di Commissario prefettizio e Podestà, in seguito; compito che rivestì con alto senso del dovere e con grande capacità comunicativa, mettendosi sempre a disposizione della gente, facendo del bene là dove era possibile, e non si conoscono né fatti né episodi che abbiano potuto inficiare il suo modo di essere. Suonatore di violino e di mandolino, ogni tanto si dedicava ad eseguire qualche canzone in famiglia o con gli amici, quando si presentava l’occasione di una scampagnata in contrada Torre, dove i Florio avevano un podere curato nei minimi particolari. Sposatosi nel 1928 con Giovannina Pricolo, Totonno dopo qualche a n n o l a s c i a l a pasticceria, assunta a pieno titolo nella conduzione dal fratello Vincenzo. L’ex pasticciere ottiene dal comune l’appalto dell’esattoria e della tesoreria comunale. La bontà e la gentilezza d ’ a n i m o c h e l o contraddistinguevano si dimostravano negli aiuti economici che egli stesso faceva a coloro c h e n o n a v e v a n o denaro per pagare le imposte e i tributi. Improvvisamente, colpito da un infarto, c h e l o s t r a p p ò all’affetto dei familiari e della consorte, si spense il 31 agosto 1958, all’età di 58 anni. Vincenzo (V’cnzin’) Florio, divenuto titolare dell’azienda, chiude la succursale di Viggiano e dopo qualche tempo quella di Moliterno, come testimoniano alcuni sacchetti di carta con sopra scritto: «Succursale Moliterno», e non «Moliterno-Viggiano». La chiusura, probabilmente, fu dettata dalla necessità di garantire la presenza di Vincenzo nel negozio di Saponara. Si rese indispensabile trovare un locale più idoneo, più moderno, con appositi spazi che mettessero in evidenza i vari prodotti dolciari ed i liquori (celebre la «Ferro-China Florio» preparata in laboratorio. Acquistò, infatti, dal sig. Vito Valenzano tre vani a Piazza Municipio (oggi sede della Farmacia del dott. Berardino Alianelli), li riattò, li abbellì con un nuovo arredo più consono ai tempi. In questo esercizio, oltre alla vendita al minuto di dolciumi, si vendevano alimentari e tessuti, nonché giornali e riviste; era quindi il ritrovo dei professionisti e benestanti di Saponara (tra i quali Clemente Caputi Aiello, il prof. Gargano, ecc.). Con l’avvento di Vincenzo si chiudeva un’epoca romantica pionieristica ed iniziava un’epoca all’insegna della modernità e dell’efficienza. V’cnzin’, come lo chiamavano le sorelle, affidò ruoli e compiti specifici: Ernesta si dedicava a sbattere le uova, Elvira un poco al negozio e un poco al laboratorio, Gilda a misurare le dosi per l’impasto, e il «capo» sovrintendeva, tranne che per sbattere anch’egli le uova, si narra, con una frusta per velocizzare l’operazione ed amalgamare l’impasto, cosa per altro, difficilissima e segretissima. Le altre sorelle, Angelina sposata a Tramutola con Emilio Ponzio ed emigrata in Brasile, e Serafina, sposata a Grumento con Antonio Manduca, non ebbero parte attiva e rilevante nell’azienda di casa Florio. Siamo sul finire degli anni trenta e le cose andavano bene. Vincenzo ogni tanto si recava a Napoli, proseguendo la consuetudine familiare, per apprendere le ultime innovazioni in materia, sempre presso la pasticceria F.lli Cappucci; la clientela aumentava, non vi era matrimonio, battesimo od altro in cui non si chiedesse l’ausilio della Premiata Pasticceria Florio per dare un tocco di classe e di qualità. Con la famiglia lavorava il sig. Raffaele Soave, il quale era addetto a prendere la legna, ad accendere il forno ed all’occorrenza, insieme a due donne, provvedeva alla consegna delle paste a domicilio. Il primo mezzo di trasporto utilizzato fu la «carriola», ancora custodita nella legnaia di casa, rinnovata con smalto bianco lucido. Gli anni passavano inesorabili, scanditi dalla monotonia del tempo che fuggiva: il negozio era meta di gente che veniva dai paesi vicini. Per la famiglia non esistevano feste, si lavorava alacremente specialmente nei giorni che precedevano il Natale, la Pasqua ed ogni festività importante. Durante il conflitto mondiale, la pasticceria subì una battuta d’arresto, gli uomini partivano per la guerra, nel paese e nel circondario non restavano che donne, bambini ed anziani, la crisi economica incombeva fortemente sulle terre abbandonate. L’attività riprese come un tempo solamente verso gli anni 1945-46. Nel 1952, V’cnzin’ provvedeva ad un nuovo riattamento del n e g o z i o F l o r i o, c o m e comunemente era chiamato in paese, oltre ai rapporti con le varie ditte che intratteneva per motivi di lavoro, tra le quali «La Dulcioras» di Milano, la «Felice Bisleri» sempre di Milano e la «Cascio & Figli» di Marsala. In questi a n n i s i d e d i c a a n c h e all’impegno istituzionale, f a c e n d o p a r t e , p r i m a dell’Amministrazione La Rossa, come si evince da una comunicazione trasmessa all’interessato datata 11 novembre 1955, a firma del Sindaco dott. Giuseppe La Rossa che invitava «il consigliere Florio Vincenzo alle ore 16.00 del giorno 13 novembre, a presenziare con le massime autorità, tra le quali S.E. l’Arcivescovo Augusto Bertazzoni e il prefetto Nicola Abbrescia, alla cerimonia relativa alla riconsacrazione al culto della Chiesa Madre». Anche quando si interessava alla politica o si abbandonava, raramente, a qualche svago, in realtà lavorava, annotando mentalmente, e poi per iscritto, quanto gli accadeva intorno, e chi gli stava vicino sentiva di entrare inevitabilmente in contatto di questo lavorìo continuo. Egli manifestava, infatti, il desiderio che quanti lo circondavano condividessero il suo entusiasmo e si sentissero partecipi delle sue attività. Continuava, come sempre, a dividersi tra il negozio (dove veniva spesso aiutato dalla sig.ra Maria Pennella e da un ragazzo che portava le storiche «guantier’ ri’ past’» casa per casa) ed il bar-pasticceria. Una cosa V’cnzin’ non faceva bene, il caffè, ma in compenso si faceva perdonare questa lieve mancanza offrendo ogni tanto un dolcetto alla marmellata soprattutto agli anziani che frequentavano il bar, tra i quali Giovanni Lemmo detto «Giuann’ u’ napultan’» come lo chiamavano tutti, che all’epoca gestiva il locale distributore di benzina ed era ghiottissimo delle paste «cu’ naspr’» di Florio.
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